Nell'ambito degli incontri che hanno visto insieme a Marsiglia vescovi e giovani dei diversi paesi del Mediterraneo, la pubblicazione del Manifesto per una teologia dal Mediterraneo frutto del lavoro congiunto di teologhe e teologi delle cinque rive del Mare nostrum.
A settembre la città di Marsiglia è stata teatro di una serie di incontri senza precedenti. I più importanti sono stati quelli tra settanta vescovi e centoventi giovani provenienti dalle cinque sponde del Mediterraneo. Questi giorni di incontri e scambi si sono conclusi sabato 23 settembre con la venuta del papa a Marsiglia. Questa giornata, che passerà alla storia per tutti i marsigliesi e più in generale per molti francesi, è stata segnata da due eventi: l’incontro ufficiale con i vescovi e i giovani al mattino al Pharo e la celebrazione eucaristica allo Stadio Vélodrome di Marsiglia con circa 66.000 partecipanti. Questa settimana molto speciale è stata però anche un momento di scambio e incontro per la rete teologica mediterranea, che si è andata costituendo già da due anni grazie all’iniziativa dell’Institut Catholique de la Méditerranée, e che riunisce teologi e teologhe ma anche ricercatori di altre discipline, provenienti dalle diverse sponde del Mediterraneo. Obiettivo specifico degli incontri teologici di Marsiglia era rendere pubblico il Manifesto per una teologia dal Mediterraneo, un testo che ha una storia e un significato particolari. A partire dalle parole di papa Francesco durante la sua visita a Napoli nel 2019 e attraverso il lavoro del gruppo di ricerca “Il Mediterraneo come luogo teologico” è stata avviata infatti una riflessione ad ampio raggio su che cosa significa fare teologia nel contesto del Mediterraneo. Questo percorso di ricerca durato diversi anni ha coinvolto un numero sempre più ampio di ricercatori e istituzioni, consentendo il confronto tra esperienze teologiche già in atto sulle cinque rive del Mediterraneo, nella stretta collaborazione con l’Institut Catholique. Si è arrivati così a tracciare le possibili linee di una teologia dal Mediterraneo scegliendo di renderle manifeste, appunto, in un testo scritto insieme, attraverso un serrato confronto che ha avuto nel laboratorio tenutosi a Molfetta nel mese di giugno un momento particolarmente importante. Un lavoro di ascolto e di scambio che ha reso il Manifesto il frutto di una riflessione collettiva, un’esperienza di teologia costruita in stile sinodale. A firmare il Manifesto sono stati diciassette istituti e centri di formazione teologica ma anche numerosi ricercatori delle cinque sponde del Mediterraneo e il testo è stato già tradotto in dieci diverse lingue mediterranee. Gli incontri di Marsiglia a settembre sono stati un’opportunità per lavorare sulla ricezione di questo testo. Se è facile firmare un testo con cui si è d’accordo, più difficile è lavorare sulla sua ricezione, cioè su come si inserisce ed è accolto nelle nostre singole realtà. A tutto ciò è stata dedicata la prima parte del nostro lavoro a Marsiglia. In che modo le convinzioni esposte nel Manifesto possono essere ascoltate, comprese e accettate in ciascuna delle nostre realtà? I teologi di Marsiglia hanno sottolineato la dimensione profondamente teologica di questo testo. Il Manifesto, come ogni discorso teologico, è innanzitutto “un momento di riflessione”. Non mira a descrivere il mondo. Non è un documento politico o una dichiarazione morale, anche se tutta la teologia ha necessariamente implicazioni morali e politiche. L’obiettivo del Manifesto, avendo preso coscienza del mondo, della sua storia e delle sue sfide, è di dire chi vogliamo essere, come cristiani, in questo mondo e per questo mondo. Si tratta di una riflessione su cosa significa fare teologia cristiana nel contesto mediterraneo oggi. Una proposta particolare, imperfetta, provvisoria, nel tentativo di dire l’azione di Dio nel mondo di oggi.
Il Manifesto non è un manifesto del Mediterraneo perché condividiamo in questo contesto dei punti in comune che ci farebbero dire “noi”, ma perché veniamo da una storia e da un luogo che ci hanno spinto verso un incontro complesso. Gli scambi tra noi hanno dimostrato che i nostri problemi e le nostre realtà non sono gli stessi. La forza del Manifesto sta nel rendere questa realtà, per quanto scomoda e mutevole possa essere, il punto di partenza da cui crediamo sia necessario fare teologia oggi. Vivendo in questo luogo, che è stato e rimane la culla di incontri complessi, un luogo che è “luogo teologico”. Il Mediterraneo ci chiede di accettare che gli incontri e il dialogo siano il luogo, la realtà in cui Dio si rivela. Una teologia dal Mediterraneo è una teologia che prende sul serio il fatto che il Mediterraneo è matrice di incontri e che l’incontro è il luogo di Dio. Ricevere un testo significa innanzitutto comprenderlo. Capire cosa ha portato alla sua stesura, le scelte fatte “a monte”. Il primo passo, perciò, è stato quello di conoscerne la storia, gli ostacoli incontrati e le scelte teologiche adottate. È toccato ad alcuni teologi italiani trasmettere ai ricercatori presenti il racconto di queste scelte. Giuseppina De Simone, Armando Nugnes, Vincenzo Di Pilato e Vito Impelizzeri hanno illustrato la struttura portante del testo. A questa presentazione ha fatto eco il racconto delle linee di ricerca e di impegno dell’Institut Catholique e il confronto programmatico in piccoli gruppi. Sono stati evidenziati così i capisaldi del manifesto che costituiscono altrettante linee di ulteriore ricerca: – Una teologia contestuale: il manifesto pone in evidenza una teologia che parte dal contesto in cui le persone vivono. Pensare al Mediterraneo come “luogo teologico” significa prendere sul serio questo luogo storicamente creativo di incontri e interconnessioni. La storia e la geografia di questo luogo sono generatori di “meticciati”. Una teologia del Mediterraneo deve essere tessuta a partire da questa narrazione. – Una teologia dell’ascolto. Prendere sul serio la dimensione contestuale della teologia significa dare grande spazio all’ascolto. Non c’è teologia senza un’attenzione a ciò che costituisce la vita delle persone, la loro realtà, un ascolto che favorisca la conoscenza dell’altro e dei suoi percorsi di vita. – Una teologia del dialogo. Centrare la teologia del Mediterraneo sul dialogo significa fare della relazione stessa il luogo di Dio, secondo le parole del papa al Velodrome di Marsiglia sabato 23 settembre: «Dio è relazione». Ciò significa che, a prescindere dai dialoghi, dai soggetti e dall’identità degli interlocutori, la salvezza si dispiega in ogni incontro autentico. – Infine, i teologi hanno enfatizzato la nozione del “tra”, dell’incrocio tra due realtà diverse, dell’«in-between». Si tratta di pensare le relazioni e i flussi complessi che ci rendono una comunità viva. Una teologia dell’«in-between» è una teologia aperta e attenta a tutto ciò che permette alla vita di passare e di portare frutto. Questi pochi punti danno un’idea di ciò che una teologia del Mediterraneo vorrebbe essere. Ma questo manifesto non è fine a se stesso, né vuole essere una conclusione. È solo una tappa, una fonte d’ispirazione libera, aperta a tutti coloro che desiderano farla propria o che si sentono interessati a un modo più “radicato” di fare teologia. In questo senso, il manifesto non è un semplice strumento “locale”, ma ha la pretesa di poter contribuire ad arricchire il “fare teologia” al di là delle sponde del Mediterraneo. Questa dimensione generativa è stata l’altra dimensione del lavoro di ricezione che abbiamo intrapreso. In che cosa questo manifesto è fonte di ispirazione? Che cosa mette in luce di un altro modo di lavorare o di vivere come teologi? La preoccupazione di questo gruppo è di incoraggiare una varietà di approcci a questa teologia del Mediterraneo. Siamo consapevoli del carattere ancora troppo euro-centrico del nostro modo di vedere e dire le cose. Vogliamo incoraggiare lo sviluppo di questa teologia da sponde diverse e da problematiche diverse. Siamo consapevoli di essere solo all’inizio di una dinamica. Abbiamo bisogno di ascoltare ciò che accade nel Mediterraneo a partire da altre discipline e da altre tradizioni religiose. Abbiamo bisogno di persone impegnate nel campo della pastorale che raccolgano queste proposte e, a loro volta, prendano parola. Detto altrimenti, una teologia che nasce dal Mediterraneo è una teologia che non è nulla senza gli altri e non ha senso senza di loro.