Una questione di vita o di morte

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S ebbene offuscato dalle tragiche notizie di guerre e stragi che giungono dall’est europeo e dal Medio Oriente, penso non sia sfuggito a nessuno il fatto che a Dubai City è in corso la XXVIII Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop28). È stata inaugurata il 30 novembre e terminerà il prossimo 12 dicembre. I 198 paesi che vi prendono parte dovranno negoziare le misure da prendere per contenere il riscaldamento globale combattendo l’effetto serra. Ovviamente, nessuno può ancora dire se questo grande impegno porterà a decisioni concrete e stringenti.

Al cuore del problema

La vita sulla Terra può esistere solo se c’è l’equilibrata combinazione di alcuni fattori. Uno di questi è la composizione chimica dell’atmosfera che assicura al nostro pianeta un clima idoneo alla vita grazie all’effetto serra naturale che produce. Si tratta di questo. Quando i raggi solari colpiscono la superficie della Terra, ad esserne assorbita è solo una parte; il resto si disperderebbe nello spazio se alcuni tipi di gas presenti nell’atmosfera non lo respingessero, svolgendo una funzione in tutto analoga a quella dei vetri nelle serre. Sono principalmente l’anidride carbonica e il metano i gas coinvolti in questo benemerito servizio. Si calcola che senza l’effetto serra naturale la temperatura media sul nostro pianeta si attesterebbe intorno ai -18 °C invece dei +15 effettivi. Se l’effetto serra è così vantaggioso, perché oggi ci preoccupiamo tanto? Che cosa significa che è in corso il surriscaldamento del pianeta? E cosa si intende per cambiamento climatico? Cambiamenti climatici ci sono sempre stati nella storia della Terra, ma il riscaldamento a cui assistiamo da circa 150 anni è del tutto anomalo perché è prodotto dalle attività umane. Viene detto “effetto serra antropico” e va a sommarsi all’effetto serra naturale. Con la rivoluzione industriale l’uomo, bruciando combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale, ha liberato nell’atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica, raddoppiandone di fatto la concentrazione. La conseguenza è che, rispetto ai livelli preindustriali, la temperatura media della Terra è aumentata di 0,98°C e la tendenza osservata a partire dall’anno 2000 fa prevedere che tra il 2030 e il 2050, in assenza di opportuni interventi, l’aumento potrebbe superare il valore di 1,5 °C. Gli effetti del riscaldamento globale sono molto chiari e disastrosi: il ghiaccio marino artico diminuisce in media del 12,85% ogni decennio. Gli anni tra il 2009 e il 2019 sono stati tra i più caldi mai registrati e il 2020 in particolare è stato il secondo anno più caldo di sempre. Le specie animali e vegetali tendono a spostarsi in modo imprevedibile da un ecosistema all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo. Definire tutto questo come “cambiamento climatico” è certamente corretto, ma sarebbe ancor più corretto definirlo “crisi climatica”. Dobbiamo iniziare a parlare di crisi perché il clima non è mai cambiato così in fretta nel corso della storia del pianeta.

Le Cop

Durante i decenni passati, il problema della crisi climatica e delle sue possibili soluzioni ha costituito l’oggetto di numerose Convenzioni promosse dalle Nazioni Unite, le cosiddette “Cop” (Conferences of the Parties) la cui storia è ormai lunga e per nulla lineare. Il primo passo significativo fu mosso dalla “Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo” organizzata a Rio de Janeiro nel 1992. In quell’occasione venne approvata una “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” con l’obiettivo di prevenire gravi conseguenze sul clima del pianeta stabilizzando le concentrazioni dei gas serra atmosferici a un livello sostenibile. Da allora gli Stati firmatari si incontrarono a intervalli regolari per concordare i passi più opportuni da compiere in vista di una protezione internazionale del clima. Nel 1997 la Cop si tenne a Kyoto (Cop3) e terminò con l’approvazione del famoso “Protocollo di Kyoto”. Si trattò del primo documento giuridicamente vincolante, contenente la lista degli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra che i paesi industriali ratificanti avrebbero dovuto osservare. Come prosecuzione del Protocollo di Kyoto, in occasione della Cop21 che si tenne a Parigi venne firmato l’“Accordo di Parigi”. L’accordo, che entrò in vigore nel 2016, stabilì che nella seconda metà del secolo le emissioni di gas serra mondiali sarebbero dovute calare a zero. Fu, questa, la prima volta che gli Stati firmatari concordarono un obiettivo concreto, decidendo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C in più rispetto all’epoca preindustriale. L’Accordo di Parigi sul clima rappresentò un’autentica pietra miliare. Non era mai accaduto, infatti, che tanti Stati decidessero insieme di occuparsi della protezione del clima e di promuoverla adeguatamente.

Cop28

E che dire della Cop 28? Certamente hanno ragione da vendere gli esperti internazionali nel definirla “la Cop più difficile” e ben si comprendono i motivi dello scetticismo che serpeggia nell’opinione pubblica. Infatti, in un quadro internazionale segnato da un preoccupante estendersi dei conflitti, non è difficile prevedere che la diplomazia del clima sarà costretta a ricorrere a straordinarie acrobazie per aggirare i blocchi – vecchi e nuovi – in cui il mondo si va sbriciolando. Suscita perplessità la stessa sede scelta per la Convenzione. Gli Emirati Arabi sono tra i primi produttori al mondo di petrolio; debbono al petrolio i loro enormi introiti ed è ragionevole pensare che per nessuna ragione siano disposti a diminuirne la produzione per abbassare il livello di anidride carbonica nell’atmosfera. Ne è una chiara prova la posizione negazionista ad oltranza assunta da Sultan al-Jaber, coordinatore dei lavori della Convenzione e amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Adnoc. Eppure la Cop28 è anche tremendamente necessaria perché le opportunità di invertire la rotta, che l’umanità sta seguendo, sono sul punto di esaurirsi ed è per questo che i governi, in piena sintonia, devono intensificare le politiche legate alla transizione energetica ed ecologica tagliando, il più velocemente possibile, le emissioni globali di gas serra e favorendo l’uso di energie alternative di limitato impatto ambientale. I lavori si prospettano, quindi, tutt’altro che semplici, ma non appaiono fin d’ora del tutto fallimentari. L’avvio dei lavori, infatti, ha registrato eventi decisamente positivi. Mi riferisco, ad esempio, all’approvazione dell’immediata entrata in funzione di un fondo per aiutare le nazioni più vulnerabili a far fronte ai danni inferti dal riscaldamento globale. Da ben trentadue anni il sud povero del mondo aspettava questa deliberazione! C’è poi un altro fatto straordinario: per la prima volta la Santa Sede partecipa alla trattativa come parte in causa e non come osservatore. Papa Francesco, impossibilitato da problemi di salute a partecipare personalmente, ha fatto pervenire un suo messaggio, letto dal Segretario di Stato Cardinale Parolin. Il papa auspica che «la Conferenza sia la svolta per una buona politica che porti a una accelerazione della transizione ecologica», sottolinea che «l’attività umana, negli ultimi decenni è diventata insostenibile per l’ecosistema. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza» e conclude: «Per favore: andiamo avanti, non torniamo indietro. È noto che vari accordi e impegni assunti hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. Qui si tratta di non rimandare più, di attuare, non solo di auspicare, il bene dei vostri figli, dei vostri cittadini, dei vostri paesi, del nostro mondo […] lasciamo alle spalle le divisioni e uniamo le forze! E, con l’aiuto di Dio, usciamo dalla notte delle guerre e delle devastazioni ambientali per trasformare l’avvenire comune in un’alba di luce». Possano le parole del Santo Padre essere accolte e trasformate, entro tempi brevi, in iniziative concrete!

6 dicembre 2023