Il sogno della fraternità universale nell'incontro tra Vangelo e politica

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Spesso la fraternità viene vista come una sorella minore rispetto ad altri valori che consideriamo esplicitamente legati alla dimensione politica, eppure senza di essa la ricerca del bene comune si svuoterebbe di senso e rimarrebbe solo parzialmente assolta. La rilettura di Fratelli tutti ci aiuta a riconoscere il valore politico della fraternità.

«Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!» (Ft 8). È «il nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale» (Ft 6) che papa Francesco invoca con la sua Enciclica Fratelli tutti1 . È il sogno di un vero incontro tra il Vangelo e la politica, quell’incontro che richiede oggi una scoperta adeguata del valore della fraternità universale da comprendere come un’altra faccia dell’amore.

La logica della fraternità è logica evangelica per eccellenza ma è anche logica intimamente politica. La fraternità rappresenta oggi una delle parole che meglio possono dare la direzione, possono essere in un tempo di smarrimento dell’umano, di disorientamento, di incertezza del vivere, una traccia fondamentale per l’impegno politico dei credenti e non solo. E la politica o riscopre il significato autentico della fraternità o è distante dal Vangelo.

La fraternità come dato e come compito

Fraternità non è tuttavia una parola magica, un risultato meccanicamente raggiungibile, quanto piuttosto un dato di base che diventa compito, risultato di azioni e scelte di vita.

La fraternità deriva infatti dall’essere uomini e donne, figli e figlie dello stesso Padre; è legata a una comune umanità che può essere riconosciuta come tale a partire dalle fedi religiose e anche al di là di esse. In questo senso, fraternità richiama un essere che diventa impegno, appunto un dato che diventa compito. Il dato dell’essere sorelle e fratelli, il dato della comune umanità, dell’essere donne e uomini, ha in sé tutta la potenzialità positiva dell’umano, la sua capacità di coniugare unità e diversità, di pensarsi e di essere una sola famiglia. Ma questo dato non dice nulla di scontato, è sospeso a vissuti relazionali adeguati, è vincolato allo sforzo di cercare la fraternità e di continuare a cercarla. La fraternità appare spesso lacerata o negata: i conflitti, nei loro aspetti più drammatici e problematici, travagliano molto spesso le famiglie, attraversano gli stati, oppongono i popoli tra loro, mettono in crisi l’idea stessa di umanità. Ecco perché questo dato è un compito, un impegno, una possibilità dell’umano affidata alla responsabilità.

Nel suo sviluppo e nella sua possibile realizzazione, la fraternità viene dalle persone; ha bisogno di essere suscitata e coltivata dalle persone e nelle persone. Qui il suo punto di forza e nel contempo il suo punto di debolezza, qui sono le opportunità e insieme i pericoli di questa nozione che è stata spesso usata e strumentalizzata. Non basta parlare di fraternità, invocarne il valore. Bisogna riconoscere che, come scrive Edgar Morin, «c’è la fraternità chiusa e c’è la fraternità aperta»2 . E in questi due possibili modi di pensare e di vivere la fraternità, il “noi” cambia di segno e determina potentemente la differenza. Nella fraternità “chiusa”, il noi diventa un recinto ed esclude chiunque sia estraneo; una fraternità “aperta” appare invece per se stessa inclusiva, il noi qui non divide ma accoglie, include, valorizza. La vera fraternità è in questa apertura, in questa capacità di inclusione che non soffoca, ma genera ulteriore capacità di relazione. In questo senso la fraternità aperta ha bisogno sempre di rimotivarsi, di rigenerarsi in quanto continuamente minacciata da forme più o meno larvate di chiusura e ciò vale sin dalle esperienze familiari, per estendersi a ogni altro contesto di vita sia comunitaria che sociale, sia professionale che politica, sia nella dimensione locale che in quella globale.

Così è stato sempre. Lo attestano le vicende della storia con le loro distorsioni della fraternità (l’esempio più tipico è la fraternità in senso giacobino sfociata nel terrore), situazioni di conflitti e di guerre a tutti i livelli; lo attestano, proprio perché esperte dell’umano e del suo divenire storico, grandi narrazioni del mondo greco, e la paradigmatica storia biblica di Caino e Abele.

A partire dalle drammatiche vicende della storia e dai racconti che la accompagnano, la fraternità appare costantemente in pericolo e minacciata a ogni passo perché appunto fortemente legata alla fragilità della vita delle persone, e alla capacità di un popolo o di uno stato di ritrascriverla in termini sociali e istituzionali, e, naturalmente, alla problematicità delle situazioni.

Il significato politico della fraternità

Ciò pone interrogativi radicali che aiutano a cogliere il significato politico dell’idea di fraternità.

Se la fraternità ha a che vedere fondamentalmente con le persone, ha solo un valore privato o, al massimo, legato a orizzonti di carattere comunitario? Quale rapporto la fraternità instaura con l’esercizio della vita democratica e quale incidenza può avere sulle trasformazioni e sul futuro delle società?

C’è un ruolo fondamentale che la fraternità riveste rispetto a libertà e uguaglianza e questo ruolo ne chiarisce anche il valore politico. Scrive Morin: «Libertà, uguaglianza, fraternità – questi tre termini sono complementari, eppure non si integrano automaticamente tra loro. Perché? Perché la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza [...]. Al tempo stesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è allora quello di saperle combinare. Ma se si possono scrivere norme che assicurano la libertà o che impongono l’uguaglianza, non è possibile imporre la fraternità tramite la legge. La fraternità non può derivare da un’ingiunzione statuale superiore, deve venire da noi. Certo, esistono delle solidarietà sociali – come la previdenza sociale o il sussidio di disoccupazione – ma sono organizzate burocraticamente, e non possono offrire quel rapporto affettivo e affettuoso, da persona a persona, che è la fraternità»3 .

Vengono in mente, da un altro versante, le considerazioni di John Rawls: «Nel confronto con quelle di libertà e di uguaglianza l’idea di fraternità ha sempre avuto un ruolo secondario nella teoria della democrazia. La si pensa come un concetto meno specificamente politico degli altri poiché non definisce di per sé alcuno dei diritti democratici, ma include piuttosto certi atteggiamenti mentali e certe linee di condotta senza le quali perderemmo di vista i valori espressi da questi diritti»4 . La dimensione formale dell’esercizio della democrazia argina le patologie della fraternità, ma può rischiare di privare la democrazia di quel contenuto di vitalità, di aspirazione di senso, di forza dei legami che la fraternità reca con sé e, probabilmente, di un recupero della fraternità le democrazie contemporanee hanno bisogno particolarmente.

Dunque – come scrive papa Francesco in Fratelli tutti – «la fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (Ft 103), non è semplicemente un sentimento vago di rispetto degli altri, né una generica tensione all’equità. La fraternità è decisiva per libertà e uguaglianza. «Che cosa accade [infatti] senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede», scrive ancora papa Francesco, «che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere [...]. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità» (Ft 103-104). Ciò significa anche una chiara presa di posizione di ordine etico e antropologico verso un certo tipo di individualismo (con il suo conseguente modo di intendere libertà e uguaglianza) incompatibile con l’insegnamento del Vangelo. «L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli.

La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consista nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune» (Ft 105).

Lo stile del Vangelo: la forza politica dell’amore

Il Vangelo ci dice invece che un’altra prospettiva è possibile e che l’indifferenza non è l’unica strada, ci dice che le inimicizie possono essere vinte e che è possibile prenderci cura gli uni degli altri. Ci dice che è possibile una universale fraternità a condizione di «allargare il cuore in modo che non escluda lo straniero» (Ft 61). Così scrive il papa commentando l’icona del Buon samaritano. «Il modello del buon samaritano [...] ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale. È un richiamo sempre nuovo, benché sia scritto come legge fondamentale del nostro essere: che la società si incammini verso il perseguimento del bene comune e, a partire da questa finalità, ricostruisca sempre nuovamente il suo ordine politico e sociale, il suo tessuto di relazioni, il suo progetto umano. Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che “l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro”» (Ft 66).

Il Vangelo attesta uno stile, un modo di essere e di vivere le relazioni, una chiave di comprensione dell’umano e delle relazioni che ne rendono possibile lo sviluppo, e questo attraverso storie esemplari di vita e non indicazioni astratte o assunti teorici. Questa linea che il Vangelo traccia con eloquenza nel racconto del Buon samaritano ha una essenziale condizione di possibilità: il farsi carico della fragilità. «L’inclusione o l’esclusione di chi soffre definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi» (Ft 69). Così afferma papa Francesco, mettendo in luce che la fragilità degli altri è fondamentale motivo di impegno sociale e politico per tutti. La fragilità di chi mi è accanto. La fragilità degli altri, di tutti gli altri, senza esclusione; quella fragilità in cui riconoscere, oltre ogni pretesa di autosufficienza, la condizione della nostra comune umanità. Amore e politica sono più vicini di quanto si possa pensare. C’è un’universalità dell’amore che è a ben guardare l’altra faccia dell’universalità della politica.

In questa prospettiva, contano allo stesso modo, pur non essendo comparabili, sia i gesti concreti, unici e irripetibili, relativi a persone concrete, le concrete esperienze di fraternità, sia le azioni politiche di ampio raggio volte alla trasformazione della realtà e tali da configurarsi in modo più stabile e duraturo. Le esperienze specifiche di bene, di attenzione e di impegno per chi soffre possono essere veicolo per una mentalità nuova e un impegno senza confini.

«Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Perché un individuo può aiutare una persona bisognosa, ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”. Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (Ft 180).

La ricerca di questo nuovo ordine e dei passi da compiere in quella direzione rappresenta il compito di fronte a cui siamo, rileggendo i tanti insegnamenti sociali della Chiesa nel tempo ed esercitando un adeguato discernimento rispetto alle istanze del presente. Carità e politica possono andare insieme, come sempre ci è stato ricordato. Carità e politica devono andare insieme. Senza amore non c’è politica. Sembra paradossale ma è questo l’insegnamento del Vangelo che ci riporta all’essenziale, chiedendo contemporaneamente un supplemento di dedizione e di creatività rispetto all’oggi. La carità politica non ha confini, la carità ha un enorme valore sociale da far cogliere e mettere in circolo.

La dimensione universale della fraternità

La dimensione universale della fraternità – il suo riguardare tutti – non sta a significare azzeramento delle differenze quanto piuttosto forza delle relazioni, capacità di saperle integrare. C’è un’affermazione importante di E. Morin che può essere ulteriormente illuminante: «L’unità umana si esprime nella diversità delle persone e delle culture, e questa diversità contiene in sé l’unità umana. Detto altrimenti, l’unità umana è il tesoro della diversità umana, la diversità umana è il tesoro dell’unità umana. Questo significa che comprendere l’altro comporta il riconoscimento della nostra comune umanità e il rispetto delle sue differenze. Sono queste le basi su cui potrebbe svilupparsi la fraternità fra tutti gli umani in un’avventura comune di fronte al nostro destino comune»5 . Ecco il grande significato politico dell’idea di fraternità: fare del nostro destino un’avventura comune a cui dare tutti il proprio contributo responsabilmente nella particolarità di ciascuno da valorizzare dentro l’apertura all’insieme. Ed è questo un decisivo punto di arrivo. Il Vangelo ci insegna che la cura per una persona – il modello del Buon samaritano – è cura per il mondo intero. E la cura per il mondo intero è cura per le persone. La forza del bene, la cura per la pace, per la solidarietà, per la giustizia è forza di cambiamento, di conversione nel piccolo come nel grande, nel particolare come nell’universale, nel locale come nel globale. «Bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga. Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta perché è come la causa finale che ci attira verso la pienezza. Al tempo stesso bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà» (Ft 142). La ricerca della fraternità autenticamente universale non schiaccia ma promuove concrete esperienze di fraternità, di amicizia sociale, che, pur nella loro parzialità, contribuiscono a costruire un futuro di bene per tutti.

Note

1 Per un approfondimento dell’Enciclica Fratelli tutti nei suoi diversi aspetti, cfr. G. Canobbio, G. De Simone, G. Grandi, G. Notarstefano (a cura di), Costruire un mondo nuovo. In dialogo con l’enciclica Fratelli tutti, Ave, Roma 2021.

2 E. Morin, La fraternità perché? Resistere alla crudeltà del mondo, Ave, Roma 2020, p. 15.

3 Ivi, p. 13.

4 J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2002, p. 101.

5 E. Morin, La fraternità perché?, cit., p. 42.